A Coruña 01/06/2013
Seduta al parco di notte, guardando dentro me stessa, provo
per la prima volta a tramutare in parole il senso del mio soggiorno alla
Coruña.
Ho passato i primi mesi chiedendomi che ruolo avessi io qui,
in questa città dell’ovest spagnolo a volte un po’ ostile verso chi non è
abituato a tanta pioggia e per tanto tempo. A chiedermi come potevo essere
d’aiuto io a ragazzi con diversità funzionale (è così che preferisco rivolgermi
a loro piuttosto che usando il termine “disabilità”) e a fianco a gente così
professionale, dotata di tanta arte, di tanta creatività, come i colleghi che
mi sono trovata ad affiancare e che usano ogni giorno il teatro, la pittura, la
danza e le arti manuali per aiutare questi ragazzi ad esprimersi e a liberarsi,
a dare il meglio, a guardare in faccia la vita in tutti i suoi aspetti affascinanti
e crudi, oltre che a giocare e sorridere sempre.
Vecchi fantasmi che si ripresentano, sfide alle quali non riuscivo
a far fronte, ostacoli che mi hanno sempre sconfitta. L’idea di non essere
dotata di una forma d’arte che mi aiutasse a liberare l’energia che ho dentro e
a connettere con questi ragazzi mi attanagliava e l’essere circondata da
persone così creative ed estroverse, invece di essere interpretato come una
risorsa mi aiutava a chiudermi, invece di approfittarne per imparare mi faceva
male, contribuiva a farmi sentire “in difetto”.
Ma sono sempre i fatti che ti portano a comprendere e a
reagire. E nel mio caso una difficoltà che il centro ha dovuto affrontare
all’improvviso ha fatto sì che io smettessi di preoccuparmi di tutte queste
stupidaggini e ha fatto uscire quello che veramente avevo da dare: tanto, tanto
amore. Finalmente mi sono sentita me stessa e felice di esserlo, regalando ogni
giorno allegria a questi ragazzi che in fondo hanno fatto la mia di allegria,
di forza, di positività. Sono loro che mi hanno aiutato ad essere me stessa, a
capire che nella vita questo è fondamentale. Conta essere se stessi e sentirsi
bene per questo. Non cercare qualità che non si hanno. Se ne hanno altre, tante
altre. E’ quando smetti di torturarti che esce fuori la tua vera bellezza,
quando accetti quello che sei e cominci a piacerti. Io c’ho messo un po’ e
chissà se ho smesso davvero di torturarmi o se è stata solo una felice
parentesi. Non lo so. Quello che so è che mi è piaciuta quella parte di me che
ho visto: empatica, capace di amare, di guardare negli occhi i più deboli e di
capire che la debolezza è bella, è speciale nel suo essere fragile; di capire
che ognuno ha qualcosa da dare a modo suo e che l’esistenza di tanti modi di
essere e di esprimersi è una ricchezza. Ho capito, e forse non ne avevo ancora
la certezza, che è l’amore che muove il mondo, in qualunque forma si manifesti.
L’Amore per un amico, per un bambino, per un animale, per la tua terra, quella
su cui cammini ogni giorno, per le piante e per il cibo che ogni giorno scegli
di mangiare. Ho capito che ognuno ha diritto a una possibilità, ogni essere
umano senza distinzione alcuna. Ho capito che la pazzia è bella e sempre può
insegnarti qualcosa. Ho capito che siamo tutti un po’ pazzi. Che non esistono
disabili mentali, abbiamo tutti qualche forma di limite mentale in fondo.
Ho capito, e non l’avevo mai pensato prima, che se avrò un
figlio sono questi i valori che vorrò insegnargli prima di tutto. Ad amare e ad
avere rispetto. A guardare negli occhi chi soffre e regalargli un sorriso; ad
aiutare i più deboli, a non aver paura di essere debole, ci sarà sempre
qualcuno su cui potrà contare; a comprendere che la diversità del mondo è una
ricchezza enorme e che tutti hanno qualcosa da dare e una storia da raccontare;
ad essere se stesso sempre, senza paura. Non c’è cosa più bella che essere se
stessi, felici di essere come siamo.
Grazie AIND perché mi hai aiutato a fare di tutto questo
qualcosa che è più di un pensiero, è qualcosa che ora mi appartiene e sempre
sarà il motore di ogni mia azione.
Giovanna Brignone
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